Le macabre statuine di Jessica Harrison

Rieccoci nella vetrinetta di nonna, la famosa vetrinetta dove abbiamo già collocato, nel tempo, le “disfigurine” di Justin Novak, le tazzine e i piatti decorati con scheletri di Yvonne Angioletti, i bimbi straziati di Maria Rubinke… Tutte ceramiche e porcellane atipiche, tra le quali non posso non includere il lavoro, magnifico, di Jessica Harrison.

Scozzese, PhD in scultura all’Edinburgh College of Art e membro della Royal British Society of Sculptors, la Harrison ha sempre proposto una versione per nulla convenzionale delle statuine di porcellana. Ultimamente, i suoi interessi si stanno orientando sulle damine tatuate. Con variopinti vestiti settecenteschi, gonne ampie, di cui sono fedelmente riprodotti gli svolazzi, bustini stretti che mettono in risalto i seni nel pieno della bellezza, e i capelli raccolti in fiocchi vezzosi, le damine di Jessica mettono in mostra braccia, schiene e petti degni di un marinaio, su cui spiccano vascelli, sirene, ragnatele, ancore, fiori, teschi, cristi e spade. Si ribellano a un’idea di bellezza classica e stilizzata e noi le immaginiamo cantare “quindici uomini sulla cassa del morto…”.

Ma Jessica non l’abbiamo conosciuta per questo, bensì per quanto ha fatto prima, con un’altra serie di damine macabre come poche altre, le Brooken Ladies. Le avrete sicuramente viste sulla nostra pagina facebook, dove di tanto in tanto le riproponiamo, ma mi piace raccontarvele anche qui, fornendovi qualche dettaglio in più, se magari siete interessati ad approfondire. Questi lavori sono decisamente sconcertanti.

Georgina_Jessica_Harrison

In questo caso il raggiungimento di un risultato estetico abbagliante non è dato dalla ribellione rispetto a canoni di bellezza codificati, ma dal loro completo stravolgimento. Le damine di Jessica non sono belle e contemplabili perché hanno completato il loro look a suon di tatuaggi, ma perché donano tutte se stesse, diventando icone macabre e splatter. Ethel, Bridget e Francis, ad esempio, si estraggono dalla pancia qualche buon metro di intestino, e lo presentano come fosse un pezzo di morbida salsiccia dal macellaio; Clare danza come un’ossessa, e ha mani e avambracci completamente scarnificati; sempre danzando, Caroline mostra felice i suoi bulbi oculari; Mairi, una vera sbadata, si è decapitata usando il ventaglio; Karen, Lily e Susan si estraggono il cuore dal petto e lo donano, forse come pegno d’amore; Georgina è seduta composta, con la testa decapitata appoggiata sulle ginocchia. E via discorrendo.

Ognuna di loro ci porta in un mondo orrorifico, dove buona parte dell’orrore è proprio data dall’accostare un mezzo espressivo classico e candido e innocuo, come la porcellana, a scene di sangue degne della peggior scena del delitto che si possa immaginare. Il tutto, però, senza mai apparire travolte dal loro stesso orrore. Le damine mantengono un’espressione serena, gaia, hanno le guance rosee di cipria e le boccucce completamente rilassate. Quindi no, evidentemente non siamo sulla scena di un delitto ma di una strana perversione, dove il dono di sé diventa un’attività estrema e a tratti ripugnante.

A tratti, mi sembra che queste immaginette possano essere accostate alle icone di tante sante e vergini che hanno subìto il martirio. Santa Lucia con l’estirpazione degli occhi, Agata con l’asportazione dei seni, e tante tantissime altre. A ben pensarci, anche di fronte ai dipinti che ne raffigurano i tristi destini, la reazione è più o meno la stessa: distogliere lo sguardo, come davanti a un film dell’orrore, e poi riportarcelo sopra, perché spesso l’orrore ha un senso. E spesso la sua rappresentazione ci piace.

Non mi resta che invitarvi a scorrere questa macabra galleria di icone e a scegliere, se volete, la vostra preferita. Le statuine di Jessica sono in vendita nel suo shop online. Forse vale la pena dare una svecchiata alla vetrinetta di nonna.

di Silvia Ceriani

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