Diciassette piccole bare

Diciassette bare. Diciassette omini. E un unico grande mistero. A Edimburgo, dal 1836. Per comprendere se si tratti delle vittime di qualche stregoneria, di un naufragio, o di due spietati serial killer.

Luglio, 1836. Alcuni ragazzi intenti nelle loro esplorazioni scoprirono ad Arthur’s Seat, vicino a Edimburgo una cosa tanto bella quanto inquietante. Una grotta, riparata da lastre sottili di ardesia e, dentro di essa, 17 piccole bare. Otto per fila, più una solitaria. Ognuna misurava 3-4 pollici di lunghezza. In ognuna di esse un omino. Le bare non erano state messe lì tutte nello stesso momento. Vi erano state deposte una alla volta, nel corso degli anni, come dimostra lo stato di conservazione delle casse – il legno delle più vecchie era quasi marcito, ben conservato quello delle più nuove –, dei vestiti e degli omini stessi. Sul loro significato, si sono azzardate molte ipotesi, che esploreremo più avanti.

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Oggi, comunque, non si possono vedere tutte e 17 le bare, poiché se ne sono conservate soltanto 8, meno della metà. Poco dopo la loro scoperta, le acquisì un gioielliere di South Andrews Street, che le espose nel suo museo privato e, dopo la sua morte, la sua collezione fu venduta all’asta per pochi spiccioli. Le bare passarono di proprietario in proprietario fino al 1901, quando furono donate al Museo nazionale di Scozia da colei che ne deteneva la proprietà, Christina Couper di Dumfriesshire.

Ma vediamo gli omini. Sono piccoli, lillipuzziani, lignei, con i volti eseguiti in maniera abbastanza accurata. Sono avvolti in abiti di cotone, con fantasie diverse. La posizione – e non potrebbe essere diversamente, visto il contenitore, è tipicamente cadaverica. Le bare, invece, sono molto semplici, di forma rettangolare e ricavate ciascuna da due pezzi di legno: uno per la cassa e uno per il coperchio, variamente decorato con intarsi e lastrine di latta.

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Resta da capire perché siano state portate in quel luogo, e cosa esattamente rappresentino le nostre barette. Secondo Allen Simpson e Samuel Menefee, che di questa scoperta parlarono su The Book of the Old Edinburgh Club, esse vennero realizzate verso intorno al 1790 deposte a partire dal 1830, e per un massimo di cinque anni. Il dettaglio più interessante che i due studiosi mettono a fuoco riguarda proprio le decorazioni, realizzate in ferro stagnato, un tipo di latta frequentemente impiegato dai calzolai dell’epoca per fabbricare le fibbie delle scarpe.

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E comunque… Comunque le ipotesi più interessanti sulle nostre figurine sono due, e ovviamente entrambe luttuose. Se scartiamo la stregoneria, e altre teorie poco credibili, la prima mette in relazione i 17 cadaveri con altrettanti marinai naufragati in mare. Ricomporne i corpi, abbigliarli e dar loro una giusta per quanto fittizia sepoltura poteva essere una forma di compensazione rispetto alla sorte tutt’altro che benigna subita dagli uomini morti in mare. Tuttavia, per comprovare questa prima teoria, manca il dettaglio più importante: nessuno, al momento, si è preso la briga di verificare se e quanti naufragi siano accaduti dal 1830.

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L’altra ipotesi rimanda invece a un’origine delittuosa. Dal 1827 al 1828, a Edimburgo, furono oltremodo attivi due serial killer, William Burke (a destra nel ritratto) e William Hare (a sinistra) che risolvettero a loro modo, e guadagnandoci su, la penuria di cadaveri da destinare alla ricerca scientifica. Se altri, a quell’epoca, si specializzarono nel furto delle salme dai cimiteri, Burke e Hare  si procurarono carne fresca, anche grazie al fondamentale contributo delle proprie compagne, da rivendere ai propri committenti, tra cui il medico Robert Cnox.

Le vittime furono in tutto 17, uomini e donne (prevalentemente), i cui corpi vennero opportunamente dissezionati e studiati. Diciotto se si conta anche il cadavere di Burke, impiccato nel 1829 e il cui corpo, per contrappasso, fu sottoposto alla medesima sorte di quelli delle vittime. Diciassette corpi smembrati, che non poterono trovare altra sepoltura se non quella fittizia, nelle barette lillipuziane, realizzate da qualcuno che probabilmente conosceva i due assassini. Questa teoria è stata avanzata dal curatore principale della sezione di Storia e archeologia scozzese del Museo nazionale, George Dagliesh.

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replica-coffin-label_700x658A ogni modo, per quanto si tratti di un’ipotesi affascinante, non ci si spiega come mai nelle bare non vi siano figure femminili. E, se vogliamo, io non riesco nemmeno perché le figurine furono realizzate nel 1790 per poi essere sepolte a quarant’anni di distanza. Mike Dash, autore di un interessantissimo articolo su Smithsonian.com, da cui ho tratto la maggior parte delle informazioni, sembra suggerire che la soluzione stia in una via ancora non esplorata, e consiglia di esaminare con attenzione i giornali dell’epoca compresa fra il 1820 e il 1836, cercando le tracce di un’altra tragedia che fece 17 vittime, tutte di sesso maschile.

E il mistero si infittisce… Nel 2014 il Museo ricevette un pacco. Il pacco conteneva un’altra piccola bara, una bella replica delle originali, e un foglietto che interrogava: XVIII? Di chi è il diciottesimo cadavere? Chi lo ha confezionato? E perché?

di Silvia Ceriani

Fonti:

Sulle bare:
Smithsonian Magazine
National Museums Scotland

Su Burke e Hare:
BurkeandHare.com
Bizzarro Bazar

La numero XVIII

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